Lettera dal fronte...

Cara mamma,

scriverti da questo fronte maledetto è un’impresa quasi come la paura della guerra, che ci blocca in ogni momento e ci impedisce di fare con un sereno autocontrollo di noi stessi quello che vorremmo.
Qui a comandarci e a condizionarci è sempre il timore…che arrivi improvviso un ordine, un contrordine, un disguido o un ostacolo che impedisca a noi, e prima ancora a chi ci comanda, di procedere in serenità. 
Quella serenità che sogno adesso in queste poche righe frettolose, che ho una voglia matta che giungano a destinazione, anche se su questo nutro già il timore che io scriva per nulla.
Ma come mi hai insegnato sempre tu, cara mamma, il nulla porta sempre a qualcosa, non è il niente e basta.
Ed ecco perché anche in questo nostro nulla di bello, nulla di pace, nulla di valido e di sereno, trovo ancora la forza della speranza e del procedere.
Qui, cara mamma, ci lascio le penne, me lo sento.
Ma il peggio di tutto non è il perdere d’improvviso la vita, ma il chiedersi e il non trovare il perché di questa guerra, di questo sangue, di questa divisa, di questa patria che svanisce assieme al tempo che sfugge a tutti i progetti dei sogni.
Solo tu mi resti, cara mamma, a fare da insegna alla patria, da bandiera del coraggio, da speranza nelle tenebre.
E dov’è finito in questi giorni quel Dio che mi hai sempre insegnato a vedere accanto a noi, nella gioia, nel dolore, nel bene e nel male?
Questo dannato inferno sembra essere privo di Lui: non lo vedo, non lo sento, non lo tocco, non mi emoziona più, da quando il mio sguardo è stato esercitato ad essere sempre più prudente, guardingo e crudo, e sempre meno semplice...
Ora, mentre ti scrivo queste cose, cara mamma, questo Dio pare essere lì, dietro la tua immagine immaginata da me, dietro questo sogno che è sfuggito per un momento alla realtà, e in questa cuccetta dove sono, mi pare di essere meno ancora di quel cagnolino che tenevo sempre con me nei miei giochi da bambino…
Cara mamma, qui non si gioca più alla guerra, come mi illudevano all’inizio: qui si muore, prima ancora di morire fisicamente!
La notte ci ascoltiamo gli uni gli altri, nei nostri pianti, assimilati dalle nostre illusioni deluse, dalle nostre amarezze e dalle incertezze…e le foto delle ragazze ammirate in penombra ci pesano sempre più tra le mani tremanti, e ridiamo stringendo i denti per non piangere e disperarci…
Ciao, mamma, ritorno al fronte della morte, assistimi, proteggimi, ricordami che sto morendo come figlio tuo, accolto tra le tue braccia, come quando mi sussurravi la ninna nanna,,,e cc o, mamm a,e cco, una boma ci e crolata dnetro,ades o,cia ao.u nnbbaacciiooooooo.òpnò,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,  

L'umiltà

Quando quindi ci troviamo giù, afflosciati, spenti, è il nostro egoismo che ci ostacola, che ci annichilisce, ci tormenta.
Ora a questo turbarci lo psicologismo risponde come contrattacco con iniezioni di autostima che invece di risollevarci amplificano il nostro ego-ismo effondendo nell’area delle relazioni affettive ed interpersonali molecole e microparticelle sospese di energia di prepotenza.
Ed allora come riportarci dall’Ego-ismo all’Ego senza l’"ismo"?
C’è un antibiotico spirituale molto potente che si oppone all’"ismo" ed appena si innesca l’ismo scappa, fugge via, batte ritirata: è la signora Umiltà.
Tutti noi possediamo questa materia prima, ma bisogna trasformarla in prodotto finito per agire nell’infinito.
Come si attiva l’umiltà?
Annullando se stessi, ovvero facendo morire il proprio Io presente contaminato dall’"ismo".
Bisogna commettere quindi questo 'Egocidio' con l’arma dell’Umiltà.
Ecco, l’umiltà è un’arma potente, una bomba atomica, che ha la seguente caratteristica: uccidere l’Io con tutti gli ismi per poi risorgere "entro il terzo giorno".
La paura nell’uso di questa arma è che 'per tre giorni' muore anche l’Io ovvero anche la nostra parte buona, la nostra identità, il nostro carattere fisiologico ed è per questo che abbiamo paura perché pensiamo di perderci per sempre annullandoci, ovvero praticando l’Umiltà, l’annullamento, la distruzione del Sé.
Pensiamo che non può più risorgerere il nostro Io.
Non abbiamo Fiducia nel compiere questo esercizio, questa ginnastica chiamata Amore.
Ci blocchiamo su questo confine e così andiamo avanti per anni ed anni, perché preferiamo tenerci l’ismo, e non vogliamo morire per risorgere, abbiamo paura a morire, e ci annichiliamo.
Speriamo in un farmaco dello psicologo, cerchiamo la chimica, ma non c’è verso, e continuiamo ad essere infelici; ma abbiamo tutto, non ci manca niente, ma allora?
E’ colpa degli altri, diciamo.

Ciao a tutti dal phisiolopho – adesso sta bollendo la pentola e devo buttare la pasta - ed a presto per altri spunti phisiolophici.

(Il Phisiolopho I)

Schiavi del piacere?...

LA MIA RAZIONALITA' E' LIBERA?
NON ELIMINATA, MA STRATEGICAMENTE SUPERATA,
CON LA DOLCEZZA DEL PIACERE.
LA MIA RAZIONALITA' RISULTA QUINDI ESSERE
SCHIAVA DEL PIACERE

                                 

Il piacere che sento mi fa subito convinta la coscienza, a livello istintivo.
Mi si va così componendo così una coscienza istintiva.
Non appena si accende la razionalità, ha inizio lo scorrimento della coscienza istintiva in quest'altra, che dalla razionalità prende il nome di coscienza razionale.
La razionalità viene in aiuto all'istintività quando il prendere e lo scartare non è di facile nè di immediata attuazione.

Mi sorge il dubbio se la mia razionalità conservi e mantenga la sua libertà.
Che libertà è quella razionale?
E' il potersi rifiutare di realizzare la presa di ciò che mi piace, e la eliminazione di ciò che non mi piace, e di chi mi è contrario.
Sicuramente la razionalità non è eliminata: è stata strategicamente superata.
Rimane fuori uso; rimane, ma inefficiente.
Il piacere è in circolazione in me e si va concentrando sulla razionalità.
Il piacere dapprima riempie il mio sentire, e mediante il sentire si va irradiando in ogni direzione, quella razionale sopratutto.
Il piacere chiama, attrae con estrema saporosità, ne ottiene l'applicazione piena, totale, immediata, gioiosa.
Non si rifiuta mai, non si stanca mai questa razionalità, anche se i ragionamenti si fanno acuti e intensi.
Senza alcuna fatica, la razionalità dà tutto quello che è possibile.
La mia razionalità viene infallibilmente piegata e vinta, dunque, dal piacere.
Possiamo tranquillamente parlare di una schiavitù; molto diversa certo dalle correnti.
Uno è schiavo contro la sua voglia; e per questo lo si pone in schiavitù con la forza.
Gli schiavi venivano incatenati, e tali dovevano per forza restare.
Non sono stato incatenato con la forza, costretto a fare lo schiavo, no.
Mi è stata fatta schiava la razionalità, con i vincoli del piacere, i quali mi piegano a una sola cosa, non contro voglia, ma con tutta la mia voglia.
Schiava del piacere è la mia razionalità.
Non può dissentire da quel mio sentire che le viene passato; non riesce a rifiutarsi al piacere del sentire.
E' questa la schiavitù fatale.
Il piacere è una ragione che elimina tutte le ragioni contro.

(Estratto dal cap.16 di "Pneumateologia")

Il credo come potenza del male

Ogni credo, indipendentemente sia religioso o laico, è sempre soggetto al virus del male che lo intacca e spesso ne prende il sopravvento, alimentando sempre più la logica del male, resa doppiamente ipocrita perchè giustificata da un ideale di vita personale e comunitario che si presenta come rinnovamento.
Ogni ideale, essendo soggetto alla disincarnazione, rischia cioè di avvalorare tutti quei sentimenti istintivi e quelle logiche di fanatismo che impediscono a chi lo professa come dogma, come credo, come emblema di libertà, di non essere ottuso e di non impedire all'altro l'espressione della diversità.
Ecco perchè è importante accedere subito al concreto nelle nostre idee, mettendole al vaglio dell'esperienza e del confronto che apre al dialogo della Verità.
Ogni dogma, specie professato da chi dice di non averne alcuno (ma già questo è un dogma), è pericoloso e insinua la mentalità dell'ipocrisia, che significa nascondere di propria volontà ogni dogmatismo fattosi personalismo dietro la bandiera del proprio io, dei propri interessi e guadagni materiali o morali.
Ogni credo, in questo senso, produce negatività e blocca l'evoluzione del pensiero umano, della cultura, del maturare dell'esperienza.
Come evitare questa "dittatura del credere"?
La prova, l'esperienza del confronto, il dialogo della diversità sono la garanzia che il credere è autentico, vivo e immune dall'invadenza e dal condizionamento del male.
Ogni volta che ognuno di noi, qualsiasi cosa creda, si mette in confronto con l'altro, ecco che supera l'ipocrisia del male nascosto sotto l'apparenza del bene, e evita di giustificarlo dietro un ideale bello, ma senza il valore e il senso dell'incarnazione nella vita, e quindi: vuoto.
Il credere, quindi, invece di riempire e colmare le lacune umane, per assurdo, ma in verità, svuota di senso, di valore e di sapore l'esistenza umana.
In effetti, la storia attraverso i vari credo esistenti non fa altro che distruggere e non costruire, in quanto avviene che le lotte personali, le diatribe di parte e le testardaggini dei convinti non aiutano, ma disabilitano il processo storico.
Come ritornare al dialogo, all'esperienza, come mettere in atto il confronto?
Accettando la storia nella sua involuzione.
Sì.
E questo non è affatto pessimismo, ma è cogliere la realtà della nostra storia umana che è nella fase tramontante dei valori, delle esperienze, delle speranze, dei progetti, delle energie.
Accettare il tramonto della nostra storia è imparare a invecchiare con essa, a preparare e prepararci alla fine, non tanto come tempo, ma come senso della relatività, che ci fa riscoprire la nostra identità per quelli che siamo, e ci aiuta ad essere più umili, più attenti a noi stessi, all'altro, alle cose.
Il credo, ogni credo, come potenza del male, indirettamente, procurandoci il male, ci sospinge in quello spirito iniziale della storia universale, dove tutto viene colto, riassunto e recuperato per vivere il presente con equilibrio, con serenità e con attenzione, cercando di credere non solo al nostro credere, ma anche in ciò che non crediamo ancora.
                                                                                                      (Phisiolofhos II)

L' EGOISMO

L’etimologia  della parola, ovvero la radice del suo significato - considerato che la parola è stata creata dall’uomo stesso - già di per sé ci chiarisce tutto in modo inequivocabile.
Ne volete una prova?
Eccola.
In latino la parola ‘ego’ tradotta in italiano vuol dire ‘IO’, mentre il suffisso ‘ismo’ viene usato per indicare una esagerazione.
L’egoismo che cosa è?
E’ l’esagerazione della nostra soggettività.
Ma perché in genere o fisiologicamente si esagera?
Perchè si ha la paura di perdere la propria soggettività.
Ad esempio, nel posto di lavoro il proprio ruolo, nella famiglia magari l’identità che comunque è sempre la stessa cosa nella relazione con noi stessi; addirittura esageriamo con il nostro io, e rappresenta un ostacolo per conoscere noi stessi e quindi avere una relazione con la nostra coscienza. Quindi l’egoismo così inteso diventa una patologia prima di tutto nostra che produce effetti che analizzati sono per il nostro miglioramento.
Altro esempio: nella fede l’egoismo è un ostacolo per relazionarsi con Dio.
La preghiera è il mezzo non il fine per il credente per creare una relazione con Dio. Ora, se noi siamo molto egoisti, questo rappresenta un ostacolo in quanto la forte esagerazione di noi ci porta ad imporre agli altri - in questo caso l’altro è Dio - ma potrebbe essere mio padre, mio amico, mio vicino di casa; il che è la stessa cosa, quindi ostacola la relazione, la possibilità di dialogo e di comprensione.
Perché ho voluto puntualizzare questo?
Perché noto che la parola egoismo viene molto usata ed in genere viene detta per indicare sopraffazione, imposizione …
Ma il male peggiore che produce l’egoismo non è verso gli altri, ma esclusivamente verso noi stessi, perché questo sentimento negativo produce una diminuzione di noi stessi, anche se non entriamo in relazione con gli altri; è insomma devastante.   
Perché non porta verso quegli equilibri necessari affinché la persona giunga alla verità delle cose, e siccome la verità delle cose è strettamente legata con la tranquillità e la pace dell’essere umano, non raggiungendola ci tiene su una soglia di turbamento e irascibilità continuamente con noi stessi.
Quindi se a volte sento dire: perchè sono nervoso, ma non so dove sta il motivo, visto che non ho fatto niente?
Ebbene, la psicologia risponde sotto questo piano dicendo: fa’ quello che ti senti di fare, se hai voglia di un acquisto, un acquisto, se vuoi rimproverare, rimprovera!
Tira fuori in modo popolare questo concetto: cerca di avere le palle, così scarichi tutto! In questo modo si ha un rafforzamento dell’io.
Attenzione!
Le prediche che fanno gli psicologi sull’autostima, se poi non si sa usare bene, e non si capisce cos’è l’autostima, invece di diminuire l’ ’-ismo’, lo aumenta e lo peggiora.
E sapete come si traduce questa autostima che gli psicologi predicano come terapia risolutiva?
In arroganza, prepotenza, perché cresce l’egoismo, non lo placa!
E’ una follia.
…Quindi occorre chiarire l’equilibrio sì dell’io, ma senza estremizzarlo e esagerarlo…
Perché se in prima fase ci da il successo, è poi perché con il nostro io abbiamo schiacciato qualcun altro.
Quindi momentaneamente ottengo il successo con l’egoismo, ma a lungo andare tutte le persone che hanno raggiunto il successo, provate a incontrali, non ce n’è uno che non sia arrogante, irascibile, prepotente e vanitoso e che solo se deve apparire per condurre un affare o mantenere il proprio successo finge- e ripeto: finge – di essere una persona tranquilla, umile e fiduciosa…solo in quel momento lo è, mentre sta conducendo la trattativa, ma è per mantenere il suo successo e la sua ricchezza.
Finita questa fase, provate voi a viverci con uno così!
Provate  a trascorrerci una giornata!
Adesso è giunto il momento di chiarire che cos’è questa benedetta autostima di cui spesso se ne parla.
Per prima cosa contiene la parola ‘autos’, tornando alla etimologia.
Parola ‘autos’ che vuol dire lo stesso, ma anche se stesso quindi sarebbe meglio dire essere se stessi, quindi anche noi non gli agganciamo la parola stima (che è anche molto pericolosa, essendo la desinenza e  non la radice) quindi io proporrei di essere più ‘autos’, senza stima, perché nello stimare se stessi in genere si fa crescere non solo l’egoismo, ma anche la vanità e l’orgoglio.
Però la parola ‘autos’ viene utilizzata anche per dire autorità, quindi colui che è autorevole è la persona che conosce bene se stesso, e la persona che conosce bene se stesso è in grado di cogliere anche la verità e la realtà delle cose che lo circondano.
Questo lo rende libero dagli ‘-ismi’, e in condizione di libertà essendo se stesso , non è affetto da comportamenti aggressivi e egoistici né verso sé, né verso gli altri.
                                                                                                       (I Phisiolophi )